ITWill - Chi dorme non piglia pesci e… non vende vino!
17377
post-template-default,single,single-post,postid-17377,single-format-standard,bridge-core-2.1.4,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode_grid_1300,vss_responsive_adv,vss_width_768,footer_responsive_adv,qode-theme-ver-20.1,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-6.1,vc_responsive

Chi dorme non piglia pesci e… non vende vino!

Come superare l’imposizione cinese di dazi fino al 212% sul vino? 

Il mondo vitivinicolo australiano già leader in Cina nel 2020 (quando ha sorpassato addirittura la Francia come maggiore esportatore) serra i ranghi e si organizza per riconquistare il suo posto nel mercato. 

In che modo? I più grandi brand vinicoli del paese hanno messo in atto strategie per bypassare i dazi riuscendo così a ripristinare un prezzo di accesso al mercato decisamente competitivo.

Come scrive Natalie Wang, Yellow Tail, nominato da Wine Intelligence Brand Power Index 2022 il brand vinicolo più popolare al mondo, ha annunciato il lancio della sua linea prodotta a Santa Carolina, Cile – denominata “Yellow Tail World Series” – sfruttando così appieno i vantaggi del FTA in atto tra Cile e Cina, che assicura dazi pari a zero.

Discorso simile per il grande gruppo Treasury Wine Estates, che a differenza di Yellow Tail (che vede negli USA il proprio mercato principale) ha una forte dipendenza dal mercato cinese. Rawson’s Retreat, tra i brand più pregiati del gruppo, ha iniziato a produrre una linea di rossi in Sudafrica, riuscendo così ad aggirare i terribili dazi inflitti all’Australia.

Il brand leader del gruppo, Penfolds, ha fatto un passo ulteriore, scavalcando anche l’importazione: nella seconda metà dell’anno lancerà la sua prima linea di Cabernet Sauvignon prodotto direttamente in Cina, nella provincia del Ningxia, quella che negli ultimi anni ha attirato maggiormente l’attenzione del mondo enologico globale per la sua particolare predisposizione alla produzione vinicola, nonché luogo della prima vera e propria denominazione d’origine in Cina.

Non solo! Perché parallelamente è stata annunciata una mossa ancora più strategica, ovvero un’alleanza tra Treasury Wine Estates e la China Alcoholic Drinks Association (CADA), l’ente statale che regola il mercato delle bevande alcoliche in Cina, nonché l’autore delle accuse di dumping che due anni fa causarono al gruppo perdite fino al 93%. L’accordo prevede un supporto attivo di TWE allo sviluppo tecnologico e culturale del mercato del vino cinese. È proprio vero: quando non puoi sconfiggere un nemico, fattelo amico. 

Tutto ciò è anche perfettamente in linea con il macro trend del 国潮 guochao di cui abbiamo parlato ieri insieme a China Files. Infatti, già da due anni il governo cinese incoraggia il consumo di prodotti cinesi al posto di quelli importati – il vicepresidente della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, Leung Chun-Ying, dichiarò in un discorso alla Facoltà di Enologia e Viticultura dell’Università del Ningxia che “i cinesi bevono vino cinese” (“国人喝国酒”). Insomma, una mossa da maestri.

E l’Italia? Con dazi al 14% e idee piuttosto confuse, il Bel Paese fatica ancora ad affermare sul mercato cinese una strategia di brand vincente.

Cosa possiamo imparare dai successi e dagli insuccessi del vino australiano?

Tags: